La favola di Maya Bay

C’era una volta, tanto, tanto tempo fa in un regno lontano nel mare delle Andamane, una baia incantata di nome Maya. Questa era situata in un angolo nascosto delle isole Phi Phi ed era talmente bella e timida che, forse perché si vergognava della sua bellezza o forse perché temesse l’invidia delle altre isole circostanti evitava di mostrarsi troppo in pubblico. Maya, infatti, preferiva rimanere appartata per evitare di attirare l’attenzione su di se.

Tipiche imbarcazioni, Phi Phi Island – Image by Guglielmo

Un giorno, tuttavia, il Principe Turismo, un potente signorotto dell’epoca, giunse alle Phi Phi Island in cerca di una sposa e, vedendo Maya Bay, se ne innamorò all’istante. Turismo cercò di avvicinarsi alla baia e chiedere la sua mano, ma Maya Bay rifiutò gentilmente le sue avances, sostenendo che preferiva vivere la sua vita tranquilla e solitaria.

Turismo, arrabbiato per il rifiuto di Maya, la maledisse dicendo: “Se non sarai mia sposa, allora non sarai di nessun altro. Ti riempirò dei miei figli provenienti da ogni angolo del mondo, negandoti la pace e la tranquillità per sempre!“.

E così, da quel giorno in poi, la baia fu presa d’assalto da gente provenienti da ogni dove.

La bellezza di Maya Bay attirava sempre più visitatori e, nonostante i tentativi dei locali di proteggerla, la baia subiva danni sempre maggiori a causa dell’affollamento e dell’inquinamento.

Maya Bay pianse amaramente il suo destino, non potendo far altro che subire l’anatema che era stato scagliato su di lei. Tuttavia, un giorno, un gruppo di giovani ecologisti giunse all’isola con l’obiettivo di ripristinare la bellezza originale della baia e proteggerla dal continuo assedio dei turisti.

Con l’aiuto degli abitanti locali, i giovani ecologisti riuscirono a ridare alla Maya Bay la sua originaria bellezza, rimuovendo i rifiuti, le attrezzature e le strutture che ne avevano deturpato il paesaggio. La baia tornò ad essere un luogo di pace e tranquillità, dove gli uccelli cantavano e i pesci nuotavano liberi.

Scogliere calcaree, Phi Phi Island – Image by Guglielmo

Maya Bay, grata per questo aiuto e, tornata all’antica bellezza, si rivolse così al Principe Turismo: “Vedi, non ho bisogno di te per essere felice. La mia bellezza è per tutti, ma solo chi mi rispetta e mi protegge può veramente godere della mia compagnia”. E da quel giorno in poi, la baia fu rispettata e amata da tutti coloro che venivano a visitarla, diventando un simbolo di come la bellezza naturale debba essere protetta e rispettata.”

“Dopo che gli ecologisti avevano pulito la baia e rimosso gli effetti negativi del turismo di massa, Maya Bay iniziò ad attirare visitatori più attenti all’ambiente, che rispettavano la natura e si preoccupavano della sua conservazione.

Gli abitanti dell’isola avevano capito l’importanza di preservare il loro tesoro naturale e, insieme ai nuovi visitatori, decisero di adottare una serie di regole per proteggere la baia e il suo ecosistema fragile. Si istituirono, ad esempio, limiti di accesso e orari di apertura della baia, in modo da mantenere il flusso di visitatori sotto controllo e ridurre l’impatto ambientale.

Acqua cristallina, Phi Phi Island – Image by Guglielmo

Inoltre, vennero promosse campagne di sensibilizzazione per educare i visitatori sulle pratiche di turismo sostenibile, come il riciclaggio, la riduzione dell’utilizzo della plastica e la scelta di attività rispettose dell’ambiente, come il kayak e lo snorkeling. I pescatori locali collaborarono per fornire servizi di noleggio delle attrezzature, come canoe e pinne, a prezzi ragionevoli, e alcuni di loro diventarono guide naturalistiche, offrendo ai visitatori escursioni per scoprire le meraviglie della fauna e della flora locali.

Maya Bay tornò a essere un luogo di pace e di armonia con la natura, dove l’aria era pura e fresca, il mare cristallino e la sabbia bianca e morbida. Era felice, circondata da visitatori che la rispettavano e l’adoravano per la sua bellezza unica.

E così, Maya Bay divenne un esempio per tutti, un luogo dove la bellezza naturale e la sostenibilità si uniscono in perfetta armonia, dimostrando che il turismo può essere un’esperienza positiva per la comunità locale e per l’ambiente circostante, se gestito in modo responsabile e sostenibile.”

Bella, vero? Purtroppo è solo una favola e il lieto fine esiste solo nei miei sogni e nella mia fantasia eppure una parte di questa favola, quella iniziale, l’ho vissuta personalmente.

Flashback

4 Dicembre 1993 – Villaggio di Ton Sai, isola di Phi Phi Don

Si era alla vigilia della regata Kings Cup che avrebbe celebrato il 66mo compleanno del Re Rama IX e, con altri volontari del Gibbon Rehabilitation Project, ero stato inviato sull’isola per propagandare il progetto, vendere gadget e raccogliere fondi. Ero arrivato a Phuket da poco più di due settimane e il mio primo impatto con quelle Phi Phi Island, già conosciute ma non ancora meta del turismo di massa mi lasciò assolutamente senza parole.

Era fantastica. L’isola tropicale che chiunque sogna: semi deserta, con le sue palme, la sabbia bianca e quel villaggio che non deturpava minimamente l’ambiente. Ci saranno state forse 200 persone, i regatanti ed altri che, come noi, partecipavano in qualche modo all’evento. La sera in uno spiazzo riempito di tavoli approssimativi, banchetti adattati a ristoranti e mescite di bevande, fra i fumi dei barbeque e le chiacchiere e le risate della gente, vedevo crescere un’atmosfera da “covo di pirati”.

Di sfondo mi pareva quasi sentire levarsi il coro: “15 uomini sulla cassa del morto oh oh oh … ed un barile di Rum

Classica imbarcazione a coda lunga, Phi Phi Island – Image by Guglielmo

Io almeno lo stavo vivendo così. Mi aggiravo fra i tavoli, fra la gente, quasi estasiato, ascoltando discorsi, chiacchiere, racconti, fermandomi più a lungo dove ascoltavo qualche cosa che colpisse la mia fantasia. Sono quasi certo che, ad un tratto, lo spirito di Robert Louis Stevenson mi pose una mano su una spalla per guidarmi verso quel capannello di gente dove, nelle loro chiacchiere, prendeva vita una versione contemporanea de “l’isola del tesoro”. Si parlava infatti di alcuni navigatori occidentali che, in Indonesia, erano quasi arrivati a recuperare un tesoro marino di cui erano da tempo alla ricerca, e che furono poi costretti a rinunciare, giunti ad un passo dal successo, a causa dell’intervento della guardia costiera, avvertita da una spiata.

Vero, non vero? Chi lo sa. So solo che queste storie, i fuochi, i fumi dei bracieri e la birra, che sostituiva il rum, mi avevano trasportato, senza neanche grossi sforzi di fantasia, in una specie di “Tortuga” d’oriente

Dormii sulla spiaggia, coperto dal cielo limpido e stellato di dicembre, martoriato da fastidiosissimi insetti che non mi hanno risparmiato nel corso di tutta la notte, e costretto ad allontanarmi di tanto in tanto dal mare che avanzava inesorabile a bagnarmi i piedi. Fu il mio primo impatto con le maree.

Ma non importava ero felice pur non sapendo ancora che il meglio, il dono di madre natura, sarebbe giunto l’indomani.

Una bianca spiaggia, Phi Phi Island – Image by Guglielmo

Il giorno seguente infatti, fui ospitato su un catamarano che avrebbe seguito la regata e che, prima della partenza fece un passaggio verso Phi Phi Ley, la più piccola e selvaggia dell’arcipelago. Si andò verso sud seguendo la linea costiera, si girò verso destra ad imboccare l’ingresso di una baia e fu l’incanto: una baia assolutamente deserta, incorniciata fra il marrone rossiccio dei picchi rocciosi e il verde degli alberi, con sullo sfondo una spiaggia da urlo e, sotto di noi un mare così pulito e trasparente che non sarebbe servita una maschera per ammirarne i fondali, bastava sporgersi dalla barca senza fare alcuno sforzo. Del resto sarebbe stata una profanazione tuffarsi in quella meraviglia della natura.

Quando arrivò l’ora in cui la regata ci richiamò al nostro dovere, provai la sgradevole sensazione di quando un sogno bellissimo veniva interrotto, al mattino, dal suono della sveglia e un parente molesto ti ricordava che era ora di andare a scuola. Uscimmo dalla baia e non sapevo che quella mia prima volta, sarebbe stata anche l’ultima in cui avrei ammirato Maya Bay così come il dio del mare l’aveva creata.

Mi sono sentito un privilegiato.

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