Quell’angolo di tranquillità fra dugonghi e caucciù

Era un po’ di tempo che volevo andare a visitarla e, finalmente, alla fine ho aggiunto un’altra delle poche tessere che mancavano per completare il mio mosaico Thailandia: sono stato finalmente a visitare l’isola di Libong.

Libong è una delle tante isole che spuntano qua e la nella parte meridionale del Mare delle Andamane, a sud di Krabi per intenderci, e la scoperta casuale in rete di un bell’albergo, alcune isole belle e poco conosciute nelle vicinanze e la possibilità concreta di vedere i dugonghi avevano risvegliato la mia curiosità personale e professionale: si, perché essendo sempre alla ricerca di qualcosa di nuovo da raccontare e di nuove destinazioni e sentieri poco battuti da proporre, in modo particolare lungo un percorso marino che conduce da Koh Lipe, quasi al confine con la Malesia, addirittura fino all’iconica Phuket, ci siamo chiesti se Koh Libong, questa isola su cui sono inciampato quasi per caso, con le sue piantagioni della gomma e i suoi dugonghi con cui giocare a nascondino, avrebbe potuto effettivamente essere una località di mare sufficientemente interessante da proporre.

Verso il tramonto, Koh Libong

A questo punto ho due scelte: la prima è tenervi in sospeso e svelare la mia risposta alla fine, mentre la seconda è quella di dirvi subito che si, a mio modesto parere l’isola di Libong è una destinazione che può essere proposta senza alcun dubbio. È facilmente raggiungibile sia via mare che via terra, ha almeno un albergo di 4 stelle, che si affaccia direttamente sulla spiaggia, dove si può passare un periodo di relax assoluto, è ad una distanza relativamente breve da alcune isole nei dintorni che ben pochi conoscono e che invece meritano una visita e la gente che abbiamo incontrato, per concludere, è apparsa ospitale e sorridente.

Ma andiamo per ordine.

L’isola di Libong è l’isola più grande della provincia di Trang, confinante con la nostra provincia di Krabi dalla quale siamo partiti. Da lì, quindi, abbiamo raggiunto in macchina una località chiamata Hat Yao, che significa “Spiaggia Lunga”, da dove ci siamo imbarcati su una “long Tail boat” che in una ventina di minuti è entrata in un canale ed è approdata nel porticciolo dell’isola.

L’isola è anche raggiungibile direttamente via mare. È infatti collegata a sud con Koh Lipe e a nord con Koh Mook, e da lì fino a Phuket, tramite servizi di motoscafi giornalieri gestiti da operatori varii.

Alice con una assistente locale

Al nostro arrivo abbiamo subito trovato un mezzo per raggiungere la nostra meta, l’Andalay Beach Resort, grazie ad una giovane donna velata che ci ha proposto il trasferimento in tuk tuk fino alla nostra destinazione: circa 8 chilometri, dall’altro lato dell’isola. La ragazza ci ha fatto subito un’ottima impressione e, benché non parlasse inglese, ha dato ad Alice, mia moglie e partner, informazioni dettagliate in un thailandese molto pulito e non macchiato dal dialetto meridionale. Così abbiamo saputo che Koh Libong è un’isola con una popolazione a prevalenza musulmana e con una minoranza di circa il 2% di Buddisti, questi ultimi per lo più immigrati per ragioni varie; che l’economia si basa sopratutto sulla coltivazione degli alberi della gomma e non come si potrebbe pensare trattandosi di un’isola, sulla pesca e, per concludere, quello che è stata forse la cosa più curiosa: con il turismo in crescita gli uomini si dedicano per lo più a fare i barcaioli, mentre le donne sono guidatrici di tuk tuk e se dovessi giudicarle tutte dalla nostra accompagnatrice devo anche ammettere che lo fanno bene e con la giusta dose di prudenza.

Alberi di caucciù a Koh Libong

Ci muoviamo quindi a velocità di crociera verso l’albergo che vogliamo visitare, ed effettivamente la strada costeggia boschi di alberi della gomma, coperti e allineati come un sol albero e riconoscibili dalla ferita sulla corteccia e dal canaletto di legno che guida lentamente il lattice dentro gusci di noci di cocco tagliate a concolina.

Qua e la lungo il percorso, capre, galli e galline che attraversano la strada inconsapevoli o sprezzanti del pericolo che corrono e qualche varano, anche lui privo di alcun tipo di educazione stradale.

Evitiamo uno di questi lucertoloni, grazie all’abilità della nostra conduttrice e continuiamo il nostro percorso ora costeggiando qualche boschetto ora attraversando qualche villaggio dove si intravede la crescita turistica e dove si vedono qua e la insegne di caffè e di “home stay”.

Fra foto, video e il suono del chiacchiericcio in Thai tra Alice e la nostra autista, nascosta tutto il tempo oltre che dal suo velo anche da una mascherina anti covid, e che ho scoperto poi che si chiamava Cartoon, arriviamo alla nostra destinazione. Rincontreremo nuovamente la ragazza al termine della nostra visita all’hotel per uno sguardo più approfondito nell’isola, sperando magari di vedere qualche dugongo.

Scorcio di spiaggia dal ristorante dell’Andalay Beach Resort, Koh Libong

L’Andalay Beach Resort ci fa una buona impressione fin dall’arrivo, tanto più che dopo i convenevoli di rito con la persona addetta a mostrarci l’hotel, la prima cosa fatta è stato un eccellente pranzo nell’unico ristorante che affacciava sul mare.

L’hotel ha riaperto i battenti ad ottobre scorso, dopo che come ci è stato detto è stato chiuso per quasi due anni e, in realtà non sembra aver sofferto particolarmente per il lungo periodo di chiusura, anzi l’arredamento in legno pregiato nelle camere e in molte altre parti della sua struttura, sembra avere resistito molto bene o, forse, è stato ben mantenuto da chi ne aveva responsabilità.

Ma non è questa la sede per parlare di dettagli tecnici su questa struttura alberghiera. Vi basti sapere che l’Andalay Beach Resort si affaccia su una spiaggia di sabbia molto chiara, che propone diverse tipologie di camere, tutte in legno, come già detto, tutte sufficientemente spaziose e gradevolmente arredate, che si è mangiato bene e che ha uno staff che ci è sembrato professionale e con un buon inglese. Cosa non da poco, infine, sempre riguardo allo staff, è che proviene per un buon 80% dalla popolazione locale.

Abitazioni su palafitte, Koh Libong

Il resto della giornata è stato un girovagare qua e la fra boschetti che ci hanno condotto a qualche spiaggia e punti di osservazione da dove, con un pizzico di fortuna, avremmo forse potuto vedere qualche dugongo che ha invece ritenuto più opportuno non mettersi in mostra.

I nostri tentativi, sia da una terrazza che affacciava sul mare, sia da una torre, posizionata alla fine di un molo da dove la vista poteva spaziare sui pascoli marini dove i dugonghi sono soliti fermarsi a mangiare, non ha avuto alcun successo.

Poco male, la giornata è stata senza dubbio gradevole e l’isola di Libong ha confermate quelle che erano le nostre aspettative proponendosi come una destinazione sostenibile dove la gente mantiene una certa consapevolezza del fatto che la salvaguardia dell’ambiente che la circonda, oltre a creare profitto attraverso un turismo intelligente, consente di continuare a vivere come hanno vissuto da generazioni e, nei limiti del possibile, senza accettare compromessi e noi stessi, cercheremo di cooperare con gli isolani, proponendo al nostro pubblico quest’isola con una certa parsimonia.

In quanto a noi, ancora una crepe in un piccolo locale del villaggio principale e poi via, verso un’altra long tail boat, la nostra macchina ed il rientro a casa.

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