Il Triangolo d’Oro

Mae Sai, Chiang Saen, Tha Kee Lek, Don Sao: I primi due in Thailandia, il terzo in Myanmar, il quarto su un isola in Laos… Nomi che di per se non dicono molto, anzi nulla, tanto meno se associate alla zona di Sam Liam Tong Kam. Ma quest’ultima località assume un significato molto diverso e sopratutto molto più suggestive se lo indichiamo col suo nome Italiano: Triangolo d’oro.

La figura del Buddha che sembra vegliare sul Triangolo d’Oro – Image by Guglielmo

Già, il Triangolo d’oro, una zona che evoca immagini di campi di papaveri, di fumerie d’oppio, di carovane di contrabbandieri e narcotrafficanti, di tribù delle colline, di sentieri nella foresta attraverso I quali passava di tutto.

Evoca le immagini di quel bellissimo film, “Fratelli nella notte” dove Gene Hackman, nei panni di un vecchio ufficiale Americano, alla testa di un pugno di soldati e con l’aiuto di una banda di narcotrafficanti di una tribù locale, entra in Laos per liberare il figlio da un campo di prigionia.

Il Triangolo d’oro che vede il punto di incontro di tre nazioni, Thailandia, Myanmar e Laos appunto, bagnate da quella grossa arteria fluviale, il Mekong, che dalla Cina sfocia in Vietnam, diventato famoso ben più che per il fatto di essere una risorsa per ben 6 paesi asiatici (la sesta oltre quelle già citate è la Cambogia) per gli scontri e le battaglie che lo hanno visto come ignaro sfondo durante la Guerra del Vietnam.

Oggi il Triangolo d’oro rappresenta solo una meta turistica dove si fanno affari e si vendono souvenir sfruttando il mito che fu, dove il viaggiatore deve viaggiare molto con la fantasia per trovare, tra le bancarelle di Mae Sai e tra I venditori birmani di Tha Kee Lek che ti assillano cercando di venderti di tutto, uno scorcio di mondo che possa in qualche modo richiamare quella atmosfera, quella legenda che ha trasformato un pezzo di fiume al confine di tre stati, niente meno che nel Triangolo d’Oro.

Il mercatino di Tha Kee Lek – Image by Guglielmo

Invece niente. Al confine tra Mae Sai e Tha Kee Lek muoiono le legende e il cartello che campeggia nella prima piazza della cittadina birmana che in tono realista socialista invita tutti a “partecipare a realizzare una zona libera dalla droga” più che un’ipocrisia, sembra un ammonimento inutile in un posto dove la droga più offerta sembra essere il… Viagra

Arrivo a Mae Sai nel primo pomeriggio dopo avere visitato I giardini e la villa della Regina Madre a Doi Tung.

Doi TungTha Kee Lek: come passare dalla Svizzera all’inferno in soli 35 chilometri. Tre quarti d’ora di Myanmar per rientrare in Thailandia con la sensazione che… “quindi uscimmo a riveder le stelle”.

La giornata era iniziata con una visita alla residenza della Madre del Re, Defunta qualche anno fa, residenza trasformata in una specie di museo, con i suoi giardini fioriti e sempre curatissimi e con un progetto reale a pochi metri di distanza dove si sviluppano coltivazioni di verdure e frutta per sostenere le tribù locali.

Barca veloce sul fiume Mekong – Image by Guglielmo

La passeggiata in mezzo a quelle aiuole disegnate ad arte, fra ciclamini, stelle di natale, rose e le immancabili orchidee, oltre ad altre decine di specie dal nome sconosciuto, ha rappresentato quasi una fuga dalla realtà attraverso un itinerario fatto di colori, di ordine, di acqua che sgorgava da docce o da semplici canne di bamboo, circondato da centinaia di persone, per lo più thailandesi, che affollavano ogni aiuola, ogni scultura floreale, ogni serra, quasi volessero tributare un ulteriore omaggio alla già riverita padrona di casa. Tutto perfetto in quell’angolo di mondo tutelato dalla Famiglia Reale, sopratutto la villa dove, di tanto in tanto, la Regina Madre spendeva le sue giornate. Una specie di chalet in legno circondato da fiori nei dintorni, sulle terrazze, nei vasi. Bella nella sua semplicità con la foto di questa “Nonna della Nazione” che non poteva e non può che ispirare simpatia quando ci si ferma a guardare la sua immagine, sempre con un sorriso dolce e sereno stampato sul viso. Chiunque vedrebbe in Lei l’immagine della propria nonna e quasi ti aspetti di vederla comparire pronta ad offrirti un dolce, fatto magari a base di quelle fragole che da queste parti crescono abbondanti.

Dopo pranzo raggiungo Mae Sai e il confine birmano.

I Thai nutrono dei pregiudizi nei confronti dei birmani: secoli di guerre, di invasioni respinte quando i birmani erano una florida potenza guerriera ed altri episodi molto più recenti, lasciano delle cicatrici.

Oggi il Myanmar è l’ombra del paese che fu. Una nazione schiacciata dal peso di una dittatura militare dove elezioni libere si sono tenute solo di recente dopo anni, dove le proteste della gente e dei monaci sono state spesso represse con l’uso della forza e dove la leader dell’opposizione ha ritrovato da pochi mesi la sua libertà dopo anni di arresti domiciliari. Tuttavia si intravedono timidi segnali che possono fare pensare ad un miglioramento futuro.

Mae Sai è una qualsiasi cittadina di confine che prospera con I suoi mercati, con le sue bancarelle, con quel turismo che porta la gente a respirare I miasmi della miseria birmana, con I suoi traffici più o meno leciti.

L’ingresso in Myanmar costa poche centinaia di baht, qualche fotocopia di passaporto e delle piccole formalità burocratiche. La differenza salta agli occhi fin da subito attraverso i comportamenti delle guardie di confine: gentili, sorridenti, solleciti nel dare informazioni ai Thai, altrettanto gentili ma più freddi e meno sorridenti, quasi diffidenti al punto di declinare sia pur cortesemente persino una innocua foto ricordo, gli omologhi birmani.

Venditrici Birmane nella sponda Thailandese del confine – Image by Guglielmo

Poi c’è il bazar con la sua sporcizia, con le sue miserie, I suoi mendicanti e I suoi venditori sempre assillanti nell’offrire merce di ogni genere: dall’immancabile Viagra ai mazzi di carte con l’effige di Sadam Hussein, da pietre “preziose” di qualità scadente a film pornografici. L’impressione immediate è che il Myanmar sia un niente con lo sfondo di templi meravigliosi e quei 4 bambini che si fanno fotografare sorridenti e forse ancora innocenti, anziché rappresentare una speranza sembrano l’immagine di un futuro grigio ed anonimo il cui sorriso si spegnerà fra le bancarelle di un bazar locale.

Chiang Saeng è il punto centrale del Triangolo d’Oro. Dalle sue rive si possono vedere le coste della Birmania e del Laos e a sole otto ore di barca verso nord, c’è la Cina. Il Mekong scorre imperturbabile col suo colore marroncino ulteriormente intensificato dalla luce del sole che cala. Una gita di un’ora con una locale “speed boat” mi porta a toccare le 3 coste con una sosta al mercato di Don Sao in Laos.

Il Laos ha pretese minori della Birmania, entrare costa solo poche decine di baht e nessuna formalità. Non serve neanche il passaporto per questa specie di ingresso clandestino e il doganiere, se così si può definire, si concede anche ad una foto ricordo.

Giro distrattamente fra le bancarelle gettando uno sguardo sui semplici prodotti locali fra cui spiccano alcuni oggetti cineseggianti e bottiglie di distillati con dentro cobra, scolopendre e altre amenità del genere oltre a sete apparentemente di discreta qualità.

Il Laos è un paese povero che sta trovando la sua strada ma la sua povertà sembra essere alquanto dignitosa. Sembra che la gente abbia la consapevolezza che dopo le bombe americane che hanno fatto conoscere questo paese al mondo solo grazie ai servizi dei corrispondenti di guerra, ci possa essere un domani grazie sopratutto al turismo che già porta gente a visitare le sue gemme più preziose come Luang Prabang o le 4000 isole, dove il fiume Mekong si allarga a formare un delta spettacolare, nella parte meridionale del paese.

Solo un orso rinchiuso in una gabbia lascia trasparire tutta la sua infelicità per la libertà perduta – Image by Guglielmo

Nel piccolo villaggio alle spalle del mercatino un gruppetto di uomini si divertono a giocare a takraw con la tradizionale palla intrecciata con il rattan, quattro donne chiacchierano fra loro a lato di una bancarella e solo un orso rinchiuso in una gabbia lascia trasparire tutta la sua infelicità per la libertà perduta. Sembra l’immagine del Laos di ieri, ma non posso fare a meno di pensare che ricorda di più l’immagine del Myanmar che ho visto oggi.

Ho scritto questo testo 13 anni fa e da allora non sono più andato al Triangolo d’Oro. Mi hanno parlato di costruzioni di matrice cinese sulla sponda Laotiana del fiume Mekong. Il sorgere di alcuni casinò stanno cancellando inesorabilmente quell’alone di romanticismo che ha sempre contraddistinto questo angolo di mondo, questo tratto di Mekong che accarezza con le sue onde le coste di tre paesi.

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