Come una foto sovraesposta

Alba di un sabato mattina, il sole si leva pigro da oriente iniziando a spargere timidamente sprazzi di luce sul mondo mentre la luna, non ancora del tutto calata si staglia pallida, quasi invisibile, sullo sfondo di un cielo ancora di un azzurrino chiaro.
Il Taj Mahal illuminato dal sole al mattino

Ci incamminiamo lungo un viale circondati da scimmie che saltano qua e la, vacche indolenti ma sacre che, pigramente, pascolano indisturbate e inconsapevoli di quanto le circonda, nutrendosi indistintamente di erba o di spazzatura. Circondati sopratutto da altre persone, il cui numero crescerà col passare delle ore. Gente che, come noi, si dirige, quasi fosse in pellegrinaggio, verso il più conosciuto tempio dell’amore che, credo, sia mai stato creato dall’uomo sulla terra, una delle sette meraviglie del mondo moderno, il gioiello dell’arte musulmana in India, riconosciuto dall’Unesco come patrimonio dell’umanità.

Taj Mahal edificio d’ingresso e biglietteria

Ci avventuriamo tra code e formalità da sbrigare, un prezzo fin troppo modesto da pagare, visto quello che ci sta aspettando: un biglietto, neanche tanto caro se paragonato allo spettacolo che ci attende, i copri scarpe di plastica per accedere all’interno del mausoleo che, non dimentichiamolo, è un edificio musulmano, una coda di gente in attesa che evitiamo grazie alla tipologia del nostro biglietto e, per finire, il solito capannello di persone che si definiscono guide a prezzo basso, che promettono spiegazioni uniche sulla storia e sulle curiosità del monumento e che cercano di convincerti spiegandoti i vantaggi che otterresti avvalendoti dei loro servizi, ma che, sopratutto non ti si staccano di dosso finché sono convinti di avere un filo di speranza di catturarti. Noiosi si curamente, ma stanno facendo un lavoro, il loro lavoro, e in definitiva stanno cercando di portare a casa la giornata.

L’India è anche questo.

Alice e Pluto di fronte al Taj Mahal

Decliniamo le offerte, ci teniamo troppo a stare per conto nostro come una goccia ribelle in quel mare di gente e proseguiamo seguendo il flusso e, incanalandoci fra una parete ed una costruzione fatta di mattoni rossi, raggiungiamo la porta ovest da dove, incorniciata dalla porta stessa, si intravede una costruzione bianca sullo sfondo, bianca e sbiadita come la luna oramai quasi scomparsa dal cielo.

Il Taj Mahal, al primo sguardo mi appare così, come una foto sovraesposta in cui le linee, i contorni e i dettagli non appaiono ben definiti. In effetti dicono ci sia dietro una studiata illusione ottica, ma detto così, ammettiamolo, perde di poesia. E il Taj Mahal è poesia pura.

Appare pallido.

Pallido come il volto di quella donna che lentamente si spegne fra le doglie del parto e che vorrebbe un aiuto da chi non glie lo può dare, nonostante sia un imperatore, perché oramai il suo destino è segnato.

Pallido come il dolore sul volto di un marito innamorato e impotente, nonostante sia un imperatore, di fronte alla sorte di questa donna il cui futuro si spegnerà col primo vagito del suo ultimo figlio.

Pallido come il colore marmoreo della morte che si approprierà del corpo senza vita di quella creatura, alla quale resterà la devozione di un uomo, il suo uomo, che ne immortalerà il pallore nei candidi marmi del Taj Mahal che ad ogni alba, come una foto sovraesposta, ricorda al mondo il pallore di un amore che si è spento per sempre.

Il pallido aspetto mattutino del Taj Mahal

Chi visita lo sa. Sa del dolore e della devozione e si lascia andare a qualche secondo di raccoglimento abbandonandosi, fra una foto e un autoscatto, ad un pensiero, ad una memoria e, perché no, ad un pizzico di gelosia verso chi ha potuto godere sia pure in punto di morte, fra dolori e sofferenze, della storia di un amore come non ce ne saranno uguali. E di chi questo amore lo ha vissuto compresso fra lo scoramento di una perdita incipiente e i problemi di governo e di cospirazione dai quali era pressato.

Ti avvicini e i contorni di questo capolavoro si fanno più netti. Il pallore sfuma e il Taj Mahal appare in tutto il suo splendore e ti accorgi che nessuna foto gli rende sufficientemente giustizia perché il Taj Mahal va al di là di ogni immagine e ogni immaginazione.

Le incisioni e gli scritti in arabo, citazioni dal sacro Corano, decorano mirabilmente la facciata aggiungendole ulteriore personalità; la forma, che da lontano sembra quadrata, si riscopre, da vicino, ottagonale; e la vasca con le fontane (che noi troviamo spente) è delimitata da marciapiedi, vialetti ed alberi che, come le linee guida di una composizione fotografica, fa convergere l’attenzione sul monumento.

Le sponde del fiume Yamuna

Il Taj Mahal è situato sulla riva destra del fiume Yamuna dal quale, fra l’altro, si gode di una suggestiva vista sul mausoleo all’ora del tramonto ed amministrativamente si trova nel distretto di Agra nell’Uttar Pradesh. Dista da Nuova Delhi circa 220 kilometri per 4/5 ore di viaggio in macchina ma è anche collegata alla capitale da una linea ferroviaria.

Mumtaz Mahal, terza moglie e preferita del Moghul, si spense nel giugno 1631 e i lavori di costruzione del Taj Mahal ebbero inizio l’anno seguente concludendosi solo nel 1654. Più di vent’anni durante i quali furono impiegati 20.000 operai e tantissimi artigiani, alcuni dei quali provenienti dall’Europa e addirittura uno dall’Italia, tale Geronimo Veroneo. Si servirono di diversi materiali provenienti da ogni parte dell’India e dell’Asia fra cui 12 mila tonnellate di marmo bianco proveniente dal Makrana, vicino a Jodhpur, 28 diversi tipi di pietre preziose e semi preziose, incastonate nel marmo come motivo decorativo dell’intera struttura che neppure fu definita tomba dato che il suo nome significa “Corona del Palazzo”.

Quando nel 1654 il Taj Mahal fu terminato, la vita e il regno di Shah Jahan, ormai anziano, volgevano al termine e nel settembre 1657, quando si ammalò, prese il via una lotta per la successione tra i suoi quattro figli il cui vincitore, Aurangzeb, si dichiarò imperatore nel 1658 e rinchiuse il padre nel forte di Agra, da cui egli avrebbe continuato ad ammirare il suo capolavoro d’amore, fino alla sua morte nel 1666.

Nel corso dei suoi 370 anni il Taj Mahal ha dovuto affrontare rischi di ogni tipo, ciò nonostante si presenta ancora al mondo in una forma smagliante anche grazie alle cure del governo Indiano e al sostegno dell’Unesco. Tuttavia, un nuovo subdolo nemico ha iniziato ad insidiarne l’integrità: l’inquinamento. A causa di questo, infatti, il candido marmo di cui è ricoperto si sta ingiallendo. Il governo ha programmato, a fianco delle normali e periodiche operazioni di pulitura, un trattamento speciale sui marmi che richiede però un grande impiego di risorse economiche. Le autorità quindi, per arginare i costi, hanno approvato delle misure di prevenzione, come una legge che vieta di costruire industrie inquinanti in una vasta area attorno al Taj Mahal.

Chissà se il Taj Mahal riuscirà a vincere questa sfida, dimostrando che l’amore può vincere anche contro l’inquinamento… perché, si sa, è il bene che vince ed è il male che perde.

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