Forse non lo sai ma pure questo è amore

Quando sei innamorato faresti di tutto per sorprenderla. Fiori nei momenti più inaspettati, sorprese che, ne sei certo, la lasceranno a bocca aperta, proposte di matrimonio nei posti o nelle situazioni più improbabili, gioielli, meglio se diamanti perché, si sa, un diamante è per sempre. Lei si commuove e piange di gioia, il ricordo va avanti per un pò, poi si torna alla normalità.

Tutto scorre.

Il Taj Mahal – una delle 7 meraviglie del mondo moderno

Poi c’è sempre chi vuole strafare perché tanto se lo può permettere e allora, se sei Shah Jahan, imperatore Mughal dell’India fra il 1628 e il 1658 e se sei innamorato perso della tua seconda moglie, la principessa persiana Mumtaz Mahal, morta nell’atto di partorire il suo quattordicesimo figlio, ecco che esageri e la consegni all’eternità costruendo per lei una tomba grandiosa al punto tale che il tempo l’avrebbe portata ad essere addirittura una delle 7 meraviglie del mondo moderno: il Taj Mahal.

Abito locale colorato

La povera Mumtaz, a meno di una vita dopo la morte, non avrebbe mai saputo di cosa sarebbe stato capace il suo uomo per onorarne la memoria ne, cosa ancor più grave, avrebbe potuto vantarsene con le amiche durante un tè in salotto, ma questo amore avrebbe conosciuto la testimonianza di quei milioni e milioni di persone, fra cui noi, che si sono svegliati prima dell’alba per andare ad ammirare quello che il grande filosofo e poeta Tagore definì “una lacrima di marmo sulla guancia del tempo”.

Voi direte che è facile comportarsi così quando sei un imperatore. Si certo è facile. Ma a tal proposito ci sarebbero almeno un paio di considerazioni da fare: la prima è che non tutti gli imperatori e monarchi vari, hanno costruito una tale meraviglia per amore, anzi in realtà non me ne viene in mente alcuno. Ricordo però regine dalle teste mozzate, principesse consorti imprigionate e altre facezie di questo tipo dove non sempre l’amore è stato protagonista.

Alice e Pluto fuori dal Faizul mausoleo

La seconda considerazione è che se sei in India, paese di eccessi e di contraddizioni, se sei Faizul Hasan Qadri, modesto pensionato di 83 anni di Kaser Kalan, una sconosciuta cittadina a circa 150 Km. da New Delhi nello stato di Uttar Pradesh, e se anche tu sei innamorato della tua unica moglie, Tajamulli Begum, morta di cancro nel 2011, ecco che, senza pretese di eguagliare in bellezza il Taj Mahal, ne di creare una nuova meraviglia dei nostri tempi, ti metti ad edificare dopo la sua morte una replica del grandioso monumento di Agra. Se poi non sei un Moghul e devi fare quadrare i conti per la tua sopravvivenza, il gesto assume dei contorni ancora più eccezionali tanto più che Faizul, ha rifiutato aiuti da un importante esponente politico della sua provincia sostenendo che l’opera doveva essere un suo impegno personale a testimonianza del suo amore per la moglie e che, pertanto avrebbe dovuto provvedere da solo. Aveva invece chiesto in cambio che il governo provvedesse alla costruzione di una scuola statale per ragazze e in questo è stato esaudito.

Faizul Hasan Qadri è deceduto nel 2018 a causa delle ferite riportate in seguito ad un incidente stradale ed è stato sepolto dal nipote, per sua espressa volontà accanto alla moglie, in quel piccolo grande monumento dove, da uomo previdente, aveva lasciato dello spazio per riposarle per sempre accanto.

Vecchia signora che vende starfruit

Durante la nostra permanenza in India, ci era sembrato doveroso fare una deviazione lungo la strada per Agra e il suo Taj Mahal per andare a rendere omaggio alla tomba del vecchio pensionato e della sua consorte. In tale circostanza abbiamo avuto occasione di incontrare suo nipote che si è assunto l’onere di portare avanti i lavori fino al completamento del piccolo mausoleo. Lo stile è lo stesso dello zio: alla nostra domanda se potesse essere gradita un’offerta, sia pure simbolica, ci è stato risposto educatamente ma con fermezza che l’opera, come nei desideri dello zio, avrebbe dovuto essere completata con la sola forza economica della famiglia.

Immagine familiare

Si signori, questa è l’India fatta di gesti meravigliosi che convivono con le contraddizione e le miserie di una società dove la donna non solo non ha ancora raggiunto la piena emancipazione, ma subisce ancora troppo spesso violenze domestiche, stupri, carenza nell’educazione scolastica, e mancanza di indipendenza economica.

Un paese dove alle parole di Jawaharlal Nehru, primo Primo Ministro dell’India indipendente, che sosteneva con convinzione che “Puoi capire la condizione di una nazione osservando lo stato delle sue donne”, risponde la voce popolare attraverso un suo proverbio, a sottolineare che “avere una figlia è come annaffiare il giardino del vicino”.

Molto significativo.

Eppure la donna vuole essere donna ed essere bella e, come a tutte le donne del mondo, anche alle indiane piace decorare il proprio corpo come parte integrante del loro essenza di donna. È quello che vedi camminando lungo le strade, sbirciando qua e la come un normale viaggiatore curioso: un mondo femminile che non sembra avere problemi, fatto di eleganza, grazia e bellezza, di sicurezza nell’incedere, di lunghi capelli neri come una notte senza luna e senza stelle, coperti da veli colorati; di occhi da cerbiatta anzi, senza offesa, di “occhi da pesce” per via della loro forma, come quelli della dea Minakshi (min=pesce, akshi=occhi). Occhi grandi, scuri, profondi e sottolineati da ciglia folte e ricurve evidenziate, quando è il caso, anche dall’uso del kajal. E poi i colori sgargianti dei “sari” o dei “salvar kurta”, un capo di abbigliamento divenuto col tempo, sempre più alla moda fra le donne indiane composto da un pantalone, da una camicia e da un ampio scialle, stando sempre bene attenti che non vengano messi in mostra pezzi di biancheria intima come le bretelline del reggiseno. Sarebbe sconveniente.

Braccialetti

Ed ancora, il tintinnare delle “chudi”, che si pronuncia “ciuri”, braccialetti che sono parte della gioielleria tradizionale, si indossano su entrambi i polsi in egual misura e oltre essere un segno di eleganza, hanno anche un significato, per così dire, superstizioso: se la sposa non ha le chudi ai polsi il matrimonio non s’ha da fare. Si dice infatti che una donna con le braccia nude, senza ornamenti, porti sfortuna soprattutto alla propria vita matrimoniale.

O forse il problema va visto da un altro punto di vista:

ad ogni piccolo movimento le chudi producono un piacevole tintinnio consentendo ai mariti di sapere sempre dove si trovi la moglie e la velocità a cui si sta avvicinando.

Insomma questa grande bellezza che le donne sfoggiano, sembra sempre avere un secondo fine volto a compiacere il marito o il proprio uomo. Come nel caso delle braccia e delle mani tatuate in via provvisoria con l’henné, chiamati “mehindi”, e parte di una delle tante cerimonie che si svolgono ai margini del complesso matrimonio indiano. La giovane futura sposa, circondata dalle amiche e dalle donne della famiglia è tatuata con l’henné. E mentre la più esperta tra le presenti, o una professionista, le decora mani e piedi, le donne più anziane la introducono al mondo dell’amore, svelandole quei segreti che la faranno essere una buona moglie e istruendola su come comportarsi per piacere al marito. Più intricato il disegno del tatuaggio, maggiore il tempo dell’esecuzione e maggiore sarà la conoscenza trasmessa.

C’è poi un proverbio che dice: “Più scuro è il mehindi, maggiormente vostra suocera vi amerà”.

Non solo compiacere il marito, ma, all’occorrenza, anche la suocera e, perché no, il resto della famiglia. Come dire, un colpo al cerchio e uno alla… famiglia del cerchio. La botte lasciamola perdere.

Donna Indiana che trasporta un vaso sulla testa

Contraddizioni di una società che nonostante gli enormi progressi fatti in ogni campo, ancora non è in grado di portare l’altra metà del cielo, non dico a pari livello dell’uomo, ma neanche ad un livello per lo meno dignitoso nonostante l’India sia ricca di donne che ne hanno segnato la storia nel corso dei secoli. Donne che hanno sacrificato la libertà ma anche la vita per edificare la loro nazione, a cominciare da Indira Gandhi, imprigionata durante il suo impegno per l’indipendenza e che per il suo paese, o meglio per le ragioni di stato del suo governo, ha dato la vita nel lontano 31 ottobre 1984. Per proseguire con Sarojini Naidu, “l’usignolo dell’India”, poetessa e attivista politica, anche lei impegnata, e imprigionata, nel periodo della disobbedienza civile al fianco del Mahatma Gandhi, unica persona che poteva chiamarlo affettuosamente “Topolino”, e morta di infarto sul tavolo di lavoro. Si perché Sarojini Naidu è stata poetessa, ma anche la prima donna indiana ad essere presidente dell’Indian National Congress e ad essere nominata governatore dello stato indiano dell’ Uttar Pradesh al quale, come detto, ha donato la vita.

E con loro tante altre.

E se non furono donne furono dee: nel plurimilionario Pantheon delle divinità Indiane come non ricordare Kali, la dea dalle tante braccia, dea dell’oscurità, della distruzione e della morte o, per citare solo le più conosciute, Parvati, dea dell’amore, della bellezza, della purezza e della fertilità.

Insomma, un mondo femminile fatto di dee, di donne illustri che hanno conquistato sul campo consapevolezza, forza, spazio, ma anche di donne comuni di ogni ceto o casta che bussano alle porte della società indiana, che premono su quel muro, ogni giorno più fragile, rappresentato dal patriarcato, che lottano quotidianamente e spingono affinché cessino gli atteggiamenti negativi, le violenze e le discriminazioni. Un mondo “dove la mente non conosce paura”*.

E il mondo maschile? Beh, finché potrà resisterà, terrà duro, cercherà di mantenere i suoi privilegi, ma non potrà durare tanto a lungo. Si aprono molte crepe nel sistema indiano patriarcale e, ne sono certo, prima o poi qualcosa cambierà anche in India e l’uomo imparerà ad accettare di condividere i suoi spazi con quelli delle donne ristabilendo così la giusta armonia.

Perché forse non lo sai ma pure questo è amore.

*”Dove la mente non conosce paura” è una poesia di Rabindranath Tagore. Quando la scrisse sognava allora un’India libera, non solo dagli inglesi ma anche da altri tipi di schiavitù e si adatta perfettamente a quel ruolo che la donna merita nella società indiana:

Dove la mente non conosce paura
e la testa si tiene alta;
dove il sapere è libero;
dove il mondo non è stato frammentato
entro anguste pareti domestiche;
dove le parole sgorgano
dal profondo della verità;
dove lo sforzo incessante tende le braccia
verso la perfezione;
dove il limpido fiume della ragione
non ha smarrito la via
nell’arida sabbia del deserto
delle morte abitudini;
dove tu guidi innanzi la ragione
verso pensieri e azioni sempre più ampi;
in cielo di libertà, Padre,
fa che il mio paese si desti.

Versione inglese su Asian Itinerary

Galleria fotografica sull’India

error: Il contenuto è protetto!