Laos, un itinerario ai confini del tempo

A bordo pronti per la partenza – foto by Issara Adisorn

E allora, andiamo a raccontare questo viaggio che “Percorsi di Viaggio” ha già fatto e che si ripropone di fare insieme a voi probabilmente nel dicembre che verrà.

Premetto fin da subito che è stato un percorso altamente emozionante e terribilmente “fotogenico”, un percorso misto fra naturale ed etnico che ci ha portato a visitare un numero imprecisato di villaggi locali, abitati da tribù quasi tutte originarie dalla Cina, in una affascinante cornice fatta di colline ora ricoperte da boschi lussuregianti, abitati da diverse specie di animali selvatici fra i quali orsi, cervi e tigri, ora spogliate della vegetazione a causa degli incendi provocati dai contadini per rifertilizzare i campi, ma non per questo meno suggestivi.

Rocce emergenti che spezzano la monotonia del paesaggio – foto by Guglielmo Zanchi

Il Laos che abbiamo attraversato noi, quello settentrionale, ci ha portato dal confine con La Thailandia, nei pressi della provincia di Chiang Rai, fino a Vientiane, in parte lungo quella che per anni è stata considerata la principale via di comunicazione di questo paese, il fiume Mekong, che lo attraversa in quasi tutta la sua lunghezza, segnando per molti chilometri il confine con la Thailandia, fino a sconfinare in Cambogia dove proseguirà il suo viaggio fino alla foce, e in parte lungo strade tortuose, a tratti sterrate e spesso piene di buche, che si arrampicavano, per poi riscendere, sulle fiancate delle colline più alte del paese.

Barche di pescatori locali – foto by Guglielmo Zanchi

Paesaggi mozzafiato, talvolta addirittura drammatici, percorsi di cui non si poteva quasi immaginare una fine, con tornanti ora in salita ed ora in discesa, percorsi costantemente da camion che, arrancanti, muovevano merci da e per la Cina, da e per il Vietnam, e lungo i quali vedevamo spuntare di tanto in tanto villaggi poveri ma dignitosi, ricchi di una loro storia, di una loro cultura e delle loro tradizioni. Villaggi dove, accompagnati da Phonsi, la nostra abile guida, ci è stato consentito di visitare le abitazioni, villaggi dove l’acqua è un bene comune ed ognuno deve andare a prendersela presso fontanelle che sorgono in uno o più punti del villaggio.

Una donna di etia Khamu – photo by Guglielmo Zanchi

Una vita dove gli abitanti sono costretti a rubbare centimetri alla terra per le loro coltivazioni che, talvolta, neanche si sviluppano in terrazze, ma addirittura in verticale. Altra “gente sospesa” che tuttavia non esita ad accoglierti con un sorriso schietto che ti riempie il cuore ma che ti fa anche rendere conto di quanto tu sia un privilegiato.

Tutto è iniziato all’alba di quel primo giorno di viaggio in cui abbiamo attraversato il confine per imbarcarci in una barca tradizionale che nel corso di una giornata ci avrebbe portato fino a raggiungere la nostra prima tappa: Pakbeng.

Una barca comoda e spaziosa, una decina di compagni di viaggio, una guida, Deng, anche questa molto disponibile e sotto di noi il Mekong, un vasto liquido giallo, limaccioso, che scorreva nella nostra stessa direzione, ora placido, ora piu impetuoso, ora agitato dalle rapide.

Durante il primo tratto, il fiume segna il confine fra i due paesi rappresentando, se non proprio una terra, una “acqua di nessuno”, che poi è invece un’acqua di tutti, dove barche di pescatori si muovono disinvoltamente dall’una all’altra sponda come se in realtà un confine non esistesse. Laos e Thailandia sono paesi legati fra loro da un solido rapporto di amicizia, e non mi è sembrata affatto innaturale la mancanza di guarnigioni militari lungo entrambe le sponde del fiume a protezione del confine. Evidentemente non sono necessarie.

Un branco di bufali d’acqua allo stato brado – foto by Guglielmo Zanchi

Seguo con lo sguardo la rotta della nostra barca, che basandosi su scogli emergenti e non, e sulla profondità del fiume, naviga ora verso una sponda ora verso l’altra, in una specie di ping pong che è ora un po’ Thailandia ed ora un po’ Laos, come se, nostro malgrado, da un lato non ci si volesse allontanare dalla nostra origine o forse come se, dall’altro lato, quel Laos al quale ci avviciniamo e dal quale ci allontaniamo rapidamente, voglia apparirci irragiungibile.

E forse, metaforicamente parlando, un po’ irraggiungibile lo è.

Ripenso con un pizzico di malinconia all’amico Corrado, che adorava attraversare i confini a piedi per stare, per qualche secondo con un piede già in un paese ed un piede ancora nell’altro e mi rendo conto di star vivendo una situazione analoga, magari meno solida e un po’ più liquida. Amava anche il Mekong, Corrado, al punto di citarlo nel titolo del suo primo romanzo: “Papà Mekong”.

Bambini della tribu’ Khamu – Photo by Guglielmo Zanchi

Il Mekong, con i suoi 4880 chilometri circa è il settimo fiume più lungo del mondo e il quarto più lungo dell’Asia. Ha la sua sorgente in Cina e la sua foce nel mar cinese meridionale, in un ampio, grandioso delta nel Vietnam, bagna con le sue acque oltre i due paesi già citati la Birmania, il Laos, la Thailandia e la Cambogia.

In Laos, il Mekong è particolarmente importante e non si può considerare solo come un corso d’acqua, in quanto rappresenta la linfa vitale dell’economia del paese e delle persone che vivono lungo le sue rive. Fornisce una fonte di cibo, acqua e trasporto, rappresenta una fonte importante di energia idroelettrica, nonché un ecosistema che supporta una vasta gamma di specie vegetali e animali. Appare quindi evidente come molte città e villaggi dipendono dal fiume.

È il caso, ad esempio del villaggio di Karg Lare, la nostra unica sosta lungo il percorso, che sorge sulla riva sinistra del fiume ed è abitato da appartenenti all’etnia Khamu. Si tratta di un insediamento relativamente recente creato dalla migrazione incentivata dal governo dalle zone montagnose, dove per gli abitanti era maggiore l’esposizione alle malattie, dove era scarsissimo il livello di igene e, per questioni logistiche, l’accesso all’educazione. Nel loro insediamento originario gli abitanti si dedicavano alla caccia e al fumo dell’oppio, ora nel nuovo villaggio, oltre ad avere un maggiore accesso alle risorse idriche, hanno degli spazi adibiti a scuola e possono godere del supporto delle compagnie di navigazione sul Mekong che portano i turisti in visita.

Ritratto di ragazza dell’etnia Khamu – foto by Guglielmo Zanchi

Il villaggio si raggiunge dalla sponda del fiume salendo lungo una improbabile scalinata, è collocato abbastanza in alto da non essere raggiunto dalla piena del fiume, quando è la stagione, ed è formato da casette in legno o in bamboo costruite su palafitte. Nel attraversarlo incontri tanti bambini, alcuni dei quali si prendono cura di altri ancora più piccoli di loro, pollame, maialini e abitanti adulti alcuni dei quali, oramai abituati agli stranieri, socializzano con loro grazie anche all’aiuto della guida, altri invece ti guardano con uno sguardo così incuriosito che quasi ti viene il dubbio di essere tu l’attrazione per loro e non il contrario. Poi i volti si illuminano di quel sorriso disarmante che ristabilisce i giusti ruoli e ti riporta alla normalità.

La crociera dura circa 8 ore fino a raggiungere Pakbeng ed è intervallata, oltre che dalla visita al villaggio, anche dal pranzo a bordo, un buffet molto semplice di cibi laotiani.

Il resto del tempo scorre fra formazioni rocciose che spezzano la monotonia del paesaggio fluviale, branchi di bufali d’acqua allo stato brado che si abbeverano lungo le sponde del fiume, pescatori che gettano le loro reti dalla riva o da sopra qualche barchetta in cui non si capisce bene come riescano a mantenersi in equilibrio. Scorre fra gli immancabili bambini che si tuffano nel fiume, completamente vestiti o completamente nudi, ma ancora spensierati, che non lasciano passare una sola barca senza averla “investita” con le loro grida di saluto e, a completare il panorama di questa umanità che vive lungo il fiume, completamente inaspettati, ci sono i cercatori d’oro: uomini e donne che chini nell’acqua con un setaccio fra le mani, cercano la fortuna sotto forma delle preziose pietre gialle.

Uno scorcio di vita sul Mekong – by Guglielmo Zanchi

Ed alla fine eccoci in vista di Pakbeng, che definire un villaggio è tanto riduttivo quanto è eccessivo definirlo un paese. Ma al di là delle dimensioni, questa località che ha visto una sua crescita proprio in funzione delle crocere sul Mekong, ti da fin dal momento dello sbarco un senso di pace che si acentuerà con i silenzi prima della sera e poi della notte. Silenzi che neanche il tranquillo scorrere del Mekong, sembra volere disturbare ne, tanto meno, un’alba dove il sole, comparendo nella parte posteriore della nostra camera, quella priva di finestre per capirci, sembra volere entrare nella nostra vita discretamente. In punta di piedi.

Solo il barrire degli elefanti, se sei fortunato, potrebbero interrompere la quiete riportandoti ad una realtà, che benchè non sia quella abituale, ti vuole ricordare che intorno a te c’è il resto del mondo.

La vista sul fiume dalla mia camera – photo by Guglielmo Zanchi

Di fronte al resort, infatti, sull’altra sponda del grande fiume, sorge un santuario degli elefanti dove si cerca di prendersi cura di questi pachidermi che se in passato erano “un milione”, oggi sono ridotti a circa 800 in tutto il paese. Il Santuario ne ospita poco meno di una decina, fra cui un cucciolo nato da poco, e si è posto come obbiettivo quello di sensibilizzare l’opinione pubblica sulla situazione degli elefanti in Laos, la cui sopravvivenza è gravemente minacciata di estinzione. L’altro scopo principale è quello di fornire supporto agli animali recuperati, protegendoli dagli abusi dell’industria del legname e del turismo per restituirli ad una vita da elefanti e lasciarli vivere in pace come tali.

Con un po’ di fortuna, all’alba, gli elefanti scendono sulla riva del fiume per dissetarsi e ammirarli dalla comodità della tua terrazza, senza recare loro il minimo disturbo, è il modo migliore per iniziare la giornata prima di salire nuovamente in auto per un altro tratto del nostro percorso.

 

Laos: un percorso ai confini del tempo

Altri articoli sul Laos

Gallerie fotografiche sul Laos

English version on Asian Itinerary

error: Il contenuto è protetto!