Province di Xieng Khouang e di Khammouane – 2023
Un’alba nella quotidianità di un qualsiasi villaggio della provincia di Xieng Khouang o di Khammouane, nel Laos, nei pressi dei suoi confini orientali. L’inizio di una giornata come molte altre, dove il raccolto fa seguito alla crescita che a sua volta fa seguito alla semina. Una giornata, insomma, i cui ritmi sono scanditi dalla vita semplice e faticosa dei campi, con i contadini che portano avanti il proprio lavoro, i bambini che vanno a scuola o che giocano spensierati fra le fatiscenti casette del villaggio, e i vecchi che siedono sugli usci al bordo della strada, immersi nei propri ricordi, in attesa che anche quella giornata scorra via, marcando un giorno in meno della propria vita.
Un’alba nella quotidianità di un qualsiasi villaggio nella provincia di Xieng Khouang o di Khammouane dove un vecchio apre gli occhi e guarda istintivamente verso il basso, quasi non volesse rassegnarsi al fatto che la parte inferiore della sua gamba ha lasciato il posto al vuoto. Un altro uomo gli occhi vorrebbe aprirli, ma non può, dal giorno in cui quell’incidente… sì, quell’esplosione, gli ha negato di potere continuare ad ammirare il volto della sua donna e dei suoi bambini, oltre alle povere bellezze del suo mondo. Una madre vede uscire il figlio che va a scuola spensierato, lo vede allontanarsi e prega di vederlo tornare a casa alla fine della giornata, possibilmente in un pezzo unico. E lui, il figlio, nella sua uniforme bianca, magari con al collo il fazzoletto rosso che sta a significare che è un bravo studente, si allontana dalla casa, con la sua aria di spensierata incoscienza, forse pensando a quel giocattolo di metallo che, gli hanno detto, aveva trovato il suo compagno di banco. Già il suo compagno di banco. Ma che fine ha fatto? È già qualche giorno che non viene a scuola…
Scene e pensieri verosimili di ogni giornata che inizia nelle centinaia di villaggi sparsi in quella zona del Laos situata lungo il confine con il Vietnam e attraversata un tempo dal sentiero di Ho Chi Minh. Una zona che ieri come oggi viveva in pace, perché una guerra, la guerra segreta o, più propriamente, la guerra sporca, non è mai stata dichiarata. Una zona che, oggi come ieri, continua a vivere le giornate con l’incubo di sentire, a una distanza più o meno prossima, quell’esplosione che, oggi come ieri, potrebbe portarsi via un parente, un amico, un conoscente.
Ma facciamo un passo indietro:
Province di Xieng Khouang e di Khammouane – Primavera 1964
Era una mattina di giugno del 1964 quando il presidente americano Lyndon B. Johnson diede ordine di iniziare a bombardare e nel Laos si scatenò l’inferno.
Dall’oggi al domani, senza un preavviso, senza una dichiarazione di guerra e, almeno dal loro punto di vista, senza una ragione, la popolazione delle province di Xieng Khouang e di Khammouane, composta da “pericolosissimi” contadini che giornalmente andavano nei campi a spaccarsi il filo della schiena per portare a casa, alla sera, quanto bastava a sfamare la propria famiglia, si trovarono a doversi riparare sotto una pioggia di bombe.
I contadini magari neanche lo sapevano, ma in quegli anni, più verso oriente, si combatteva una guerra fra i vietnamiti del nord, comunisti, che avrebbero voluto vedere il loro paese definitivamente riunito, possibilmente sotto la loro bandiera, e i vietnamiti del sud, supportati dagli americani che, invece, quella riunificazione avrebbero voluto evitarla come la peste.
Forse i contadini neanche sapevano che il loro stesso paese stava vivendo una specie di guerra civile, diviso com’era fra le forze della guerriglia comunista, il Pathet Lao, e l’esercito regolare fedele alla famiglia reale, addestrato da forze speciali dell’esercito degli Stati Uniti. Ma quest’ultima vicenda era così lontana dalla loro vita che forse per loro manco esisteva.
Quello che esisteva e li terrorizzava era il rombo delle fortezze volanti che si udiva prima in lontananza poi a mano amano sempre più vicino, il fischio di quegli oggetti strani che cadevano dall’alto ed erano così tanti da oscurare il cielo e poi quelle esplosioni continue, quelle lingue di fuoco che si alzavano verso il cielo e, per finire, quei pochi minuti di pace che accompagnavano un’altra forma di terrore: quello di contarsi e di scoprire che all’appello mancano un padre, un figlio, il tuo migliore amico oppure, nella migliore delle ipotesi una gamba, un braccio, un’occhio o forse tutti e due.
Il Laos tra il 1964 e il 1973 ha subito oltre 580.000 missioni di bombardamento equivalenti a 270 milioni di sottomunizioni a grappolo sganciate. Praticamente, cifre ufficiali alla mano, una missione di bombardamento ogni 8 minuti, 24 ore al giorno, 7 giorni su 7, per 9 anni, il che lo ha reso il paese più pesantemente bombardato nel mondo. Si è calcolato infatti che più di 2 milioni di tonnellate di bombe sono state sganciate su quella disgraziata gente colpevole di niente.
Alle volte, mentre passeggiavo fra le strade di Phonsavan, capoluogo dello Xieng Khouang, o fra le giare disseminate qua e là nei siti archeologici nei pressi della città spesso inframmezzati dai crateri provocati dalle bombe, mi fermavo ad immaginare quello che poteva essere successo quasi una sessantina di anni prima: immaginavo la curiosità e, di seguito, l’incredulità di quella insana prima volta, quando dei giganteschi mostri metallici, marcati ai fianchi da una una stella bianca in campo blu, preceduti dal rumore monotono e minaccioso dei loro motori, si avvicinavano. Immaginavo le teste coperte dai cappelli a cono, chine prima verso le coltivazioni, volgersi poi verso l’alto, quasi a volere capire il senso di quella singolare parata. Magari qualche sorriso… gli asiatici il sorriso ce l’hanno nel DNA. Poi lo sgancio, queste file interminabili di oggetti cilindrici che scendono inesorabilmente e che, una volta al contatto col terreno, esplodendo, gettano nel panico chiunque, essere umano o animale, si possa trovare nelle vicinanze. Imagino le urla di terrore e di dolore, la fuga verso ripari improbabili, immagino i volti contratti dalla paura, gli occhi sgranati che cercano di capire il perché… perché di quella follia e poi, cosa c’entrano loro con tutto questo.
Poi il rombo dei motori si allontana, fra le colonne di fumo che si innalzano torna la pace, una pace che durerà ben 8 minuti.
“Vabbè – direte voi – ma oramai sono passati quasi sessanta anni, la situazione in Laos si sarà pur normalizzata, no?”
No, perché secondo i conteggi, il 30% circa degli ordigni sganciati non è esploso all’impatto, riservandosi il diritto di farlo dopo, con tutta calma. Si tratterebbe sempre di quelle 270 milioni di sottomunizioni a grappolo di cui si stima che 80 milioni non siano esplose. Numeri che, fra l’altro, sono pure sottovalutati significativamente poiché pare che i dati nei registri statunitensi sui bombardamenti siano incompleti.
Freddi numeri che dipingono una situazione drammatica, così come drammatica risulta la quotidianità di questa gente che, come detto all’inizio ancora, dopo tutto questo tempo, passeggia ogni giorno con la morte al proprio fianco il che, anche se sei un buddista fatalista, non credo si possa considerare una compagnia gradevole.
Ed è qui che subentra il Mag:
“Il Mines Advisory Group (MAG) è un’organizzazione umanitaria e di sostegno globale che si occupa di trovare, rimuovere e distruggere mine terrestri, munizioni a grappolo e bombe inesplose dai luoghi colpiti dai conflitti.
MAG fornisce anche programmi educativi, in particolare per i bambini, in modo che le persone possano vivere, lavorare e giocare nel modo più sicuro possibile fino alla bonifica del territorio.
Dal 1989, MAG ha aiutato oltre 20 milioni di persone in 70 Paesi a ricostruire le loro vite e i loro mezzi di sussistenza dopo la guerra”.
(Traduzione tratta dal sito del Mag)
Il Mag, fa quello che può e lo fa anche bene. È un impegno necessario che ha educato i locali, per lo meno a riconoscere gli ordigni inesplosi, cercando con successo di ridurre il numero delle morti e delle ferite da esplosione, ma ha sopratutto istruito squadre di persone divenute altamente professionali, a disinnescare o a far brillare in maniera sicura gli ordigni inesplosi, contribuendo alla lenta bonifica del paese.
Il Mag nel Laos opera dal 1994 nelle province di Xieng Khouang e di Khammouane ed appare curioso che, almeno per quanto riguarda le immagini viste nella sala informativa di Phonsavan, molte delle squadre di sminatori siano composte integralmente da donne. Da sminatrici quindi.
Giovani donne come Simeuang, di base a Khammouane, che è cresciuta con le bombe disseminate nei campi e nei giardini tutte intorno a lei, e quando il Mag andò a ripulire il suo villaggio, scattò quel senso di gratitudine che la portò ad entrare a farne parte; o come Phidsamay Linsaiyom, che iniziò nel 2006 come semplice tecnico fino a diventare nel 2020 “supervisore di campo” e che sottolinea con giusto orgoglio la forte presenza femminile della sua squadra: “Gli uomini – dice – sono forse più forti di noi, ma noi possiamo fare il loro stesso lavoro con altrettanta forza”.
Il Mag svolge la propria attività con solerzia, consapevole del fatto di aver reso di nuovo vivibile la vita di un elevato numero di persone in moltissime aree del Laos. I numeri relativi al 2022 ci raccontano un’attività ed un impegno di eccellenti dimensioni. Hanno bonificato infatti 15.287.894mq di terreno, facendo brillare 17,824 mine o bombe inesplose, senza contare le 486 sessioni di educazione al comportamento da tenere nel caso in cui ci trovasse di fronte alla minaccia di un ordigno inesploso.
Numeri che significano bambini vivi, arti ancora sani e una vita che dopo più di mezzo secolo, si sforza di ridiventare quasi normale.
La gente del Laos, ha caminato troppo a lungo con la morte a paro a paro, come direbbe Gabriele D’Annunzio, con questa compagna scomoda al proprio fianco, la cui presenza ingombrante era diventata per loro fin troppo naturale, ed è grazie al Mag, a questi uomini e donne, anche loro a paro a paro con la morte ma con in più un grande coraggio, una maggiore consapevolezza ed il peso di una grande responsabilità sulle spalle, che Phonsavan, la provincia dove sorge la Piana delle Giare, riconosciuto dall’UNESCO come Patrimonio Mondiale dell’Umanità, sta tornando alla normalità, anche accogliendo in sicurezza tutti quei visitatori incuriositi dal mistero delle enormi giare di pietra. Ma questa è un’altra storia di cui parleremo in altra sede.
E Lindon B. Johnson? Boh… non so per gli altri, ma per me ne rimarrà il ricordo scandito dal lugubre slogan urlato dai manifestanti americani contro la guerra che è stato anche inserito come ritornello in una canzonetta di protesta cantata da tale Bill Frederick conosciuto anche come Fred Stanton:
“Hey, hey, LBJ, how many kids did you kill today?”
Sfortunato, fra l’altro, se avesse agito ai giorni nostri, fra un bombardamento e un’altro magari gli avrebbero anche consegnato un premio nobel per la pace.
Il Mag in Laos, come in altre parti del mondo, garantisce il suo impegno costante per salvare vite umane e benché abbia fra i suoi donatori anche alcune organizzazioni internazionali fra cui, udite udite, il Dipartimento di Stato Americano, ha sempre bisogno del sostegno di quanti sentano il dovere di offrire il loro aiuto economico.
Chi fosse interessato può visitare il sito del Mag per eventuali donazioni.